
CRISTIAN SAVIOLI

Cose che vorrei raccontare di una città
di Francesco Piccolo
Vorrei raccontare il momento esatto in cui di notte i semafori
cominciano a lampeggiare, che vuol dire che ormai le auto sono poche e
quasi tutte stanno tornando verso casa; di due che stavano per lasciarsi
e poi non si lasciano più e si abbracciano a lungo, senza accorgersi
che la gente si è fermata a guardarli; di un piccolo incidente e il
ragazzo in motorino si alza subito perché non si è fatto niente. Vorrei
raccontare tutte le nonne che portano al parco i nipoti e dei loro
sorrisi quando li guardano correre, ogni palazzo che ospita uffici
ricolmi di lavoro e di tutte le vite che ci sono dietro coloro che
stanno dietro alle scrivanie; il suono prolungato e familiare di
campanelle scolastiche, e un rumore di scale percorse con tumulto che si
diffonde in molti quartieri, rumore di bambini, ragazzi e adolescenti,
che creano per qualche secondo una tensione barbara, lì fuori, una
scenografia dell'attesa di qualche secondo – e poi tutti questi ragazzi
che vengono espulsi quasi all'unisono, le scuole si svuotano e la città
si riempie di nuovo, i vigili urbani hanno molto da fare, le madri e i
padri tornano a fare i genitori, i pranzi sono quasi pronti, le
organizzazioni complicate dei pomeriggi. In fondo, se una città esiste,
se è composta da una serie intricata di regole, è in nome di tutti
coloro che vorrei raccontare, e soprattutto di tutti coloro che le
campanelle scolastiche hanno fatto schizzare fuori: se una città esiste,
è per il futuro. E se i racconti esistono è per tramandare le storie.
La città è ancorata al futuro come se le appartenesse più del presente,
tutto ciò che le viene fatto riguarda non tanto coloro che se ne
occupano ma i loro figli, e i figli dei figli. Sembra, mentre ogni
angolo pulsa di presente, e tutte le storie che si vivono sono il
sintomo del presente, sembra che le storie che riguardano la città,
compiute o immaginate in nome suo, riguardano sempre il futuro. In
fondo, basta fare attenzione a questa differenza: l'individuo e la
comunità. L'individuo si compie nel presente, ma appena fa parte di una
comunità, immediatamente viene proiettato nel futuro, tutto ciò che
pensa è progettazione per il futuro. Anzi, la comunità è il suo modo di
pensare al futuro, di pensarsi generazione. Se l'individuo diventa
cittadino, e cioè entra in contatto diretto con il luogo, all'improvviso
la sua percezione emotiva e razionale è tutta propensa al futuro.
Vorrei raccontare, intanto che aspettiamo il futuro di ogni città,
l'odore di pane del primo mattino, le macchinette del caffè che
gorgogliano, la fretta che prende alcuni per non arrivare in ritardo; le
passeggiate con le mani infilate nelle tasche, gli aperitivi con le
mani unte dalle arachidi; il primo scontrino battuto in un negozio e
tutti i sorrisi di quelli che ci lavorano. Vorrei raccontare una città
dove tutti lavorano con allegria. E anche la prima volta che una ragazza
fa tardi la sera e l'apprensione nascosta dei genitori, il bis tanto
atteso di un concerto, il giorno in cui fa abbastanza freddo da dover
tirare fuori dall'armadio il primo maglione e infilarlo mentre scarica
corrente; il momento in cui ritorna la luce dopo ore di black out,
l'urlo dello stadio dopo un gol. Vorrei raccontare quelli che alzano le
serrande, che rifanno le strade, che svuotano i cassonetti; quelli che
aspettano e guardano l'orologio e poi finalmente in fondo alla strada
vedono chi aspettano, quelli che attraversano sulle strisce pedonali e
guardano male gli automobilisti che frenano un po' tardi, quelli che
smettono di fumare, quelli che escono la mattina dai portoni e coprono
gli occhi dalla luce. Vorrei raccontare le lacrime che scendono sui visi
degli spettatori al cinema, le risate di una sera a cena. Vorrei
raccontare quelli che prenotano al ristorante, quelli che lottano per
pagare il conto, quelli che spengono la luce a letto e poi si girano di
lato, tirandosi su le coperte. Tutti i traslochi di una giornata, tutte
le auto che escono nuove dai concessionari, tutta la musica che viene
ascoltata; vorrei raccontare di un litigio furioso per una questione di
principio, uno che corre per arrivare prima che scada il tempo per
qualsiasi cosa. Le chiacchiere negli uffici postali, le difficoltà di
riempire i moduli, le borse della spesa da svuotare, i clacson che
smettono di suonare, i bambini quando chiudono il quaderno perché hanno
finito i compiti, i balconi con i panni stesi e il vestito da mettere
alla festa. Il momento in cui i padri dicono "e va bene", i risvegli
dalle operazioni chirurgiche, le strade appena bagnate dal camion che le
pulisce, il profumo del giornale quando lo prendi tra le mani, le donne
che si legano i capelli, le bocche impiastricciate dei bambini quando
hanno finito il gelato, il responsabile che all'alba chiude la discoteca
facendo scattare il lucchetto, il professore che corregge i compiti
degli alunni. Vorrei raccontare tutti i sogni di una notte, gli ultimi
giorni da sindaco del sindaco, tutte le feste a sorpresa, e il rumore
della carta da regalo quando viene scartata.
Vorrei raccontare i bambini che diventano adulti, gli adulti che
invecchiano, i vecchi che combattono contro la morte. Gli amori che
cominciano, che è molto prima di quando cominciano – cioè il momento in
cui un innamoramento nasce senza che la persona che si innamora se ne
sia ancora accorta. E poi certi pomeriggi di pioggia e la gente che
aspetta che spiova sotto i portoni e si conosce e si parla. Gli amici
che si incontrano al caffè e si raccontano i segreti. Le manifestazioni,
quando la città è occupata da molti di coloro che la abitano. E la
notte di capodanno, quando la maggioranza dei cittadini è in strada e
non nelle case. Mi piacerebbe raccontare la storia di una casa
attraverso i secoli e le generazioni che la abitano. La storia di una
persona e di tutte le case che abita nel corso della sua vita. Mi
piacerebbe contare quanti baci in questo momento in questa città si
stanno dando le persone che si amano. Mi piacerebbe che in questo
momento nessuno stesse urlando "ti odio!", che nessuna porta stesse
sbattendo, che nessun essere umano stesse tossendo, che nemmeno un
cittadino non si sentisse un cittadino; e sempre in questo momento che
qualcuno stesse dicendo "però com'è bello vivere qui". Anche tra sé e
sé.
